Terra Santa

Sarajevo by night

Terra Santa.

Perché Santa è la pazienza che ci vuole a non farsi irritare da certi atteggiamenti di illustri esponenti delle tre fedi monoteistiche che bazzicano all’interno delle mura di una Gerusalemme bellissima.

Non sono una donna di fede. Ma sono una donna spirituale. Senza farla complicata credo in qualcosa che ci aspetta al di là. Ma non passo la mia vita a pensare al modo di accaparrarmi le simpatie di chi, quando ci arriverò, mi prenderà per le orecchie e mi chiederà conto di tutte le strafottenze che ho avuto in vita. Penso al qui. Ora. Non ho mai trovato Dio in fila a pagare le bollette. Non lo scorgo neanche quando devo fare i conti con un’influenza o con il mal di pancia del mio gatto. Immaginarsi se lo intravedo nelle grandi catastrofi umane. Ma c’è. Non so se ci guarda o si distrae annoiato. Mi ritrovo spesso a sperare la seconda.

Condotta morale: 4.

Comunque sia qui in Israele sembrano tutti decisi a fare bella figura davanti a lui.

Chi lo prega prostrandosi su un tappeto dentro una moschea. Chi battendo la fronte contro un muro. Altri ancora salmodiando e ripercorrendo gli ultimi metri di strada che ha fatto un suo figlio prima di essere appeso a una croce.

Qui sono tutti impegnati nel cercare di essere i primi della classe. Come mediocri studenti che durante il compito in classe coprono con la mano il proprio foglio per non aiutare il vicino. Roba che se fossi io la maestra li spedirei tutti a settembre. Condotta morale: 4

Così capita che Cristiani Armeni prendano a testate Cristiani Cattolici dentro la Chiesa del Santo Sepolcro. O può accadere che musulmani devoti tirino pietre se un riccioluto ebreo sale sulla spianata delle moschee per ammirare il panorama. E state attenti agli ebrei ultraortodossi di Mea Shearin: se vi beccano a fare foto nel giorno di Shabbat, quella macchina fotografica ve la potrebbero voler far ingoiare.

Chissà quale di questi studenti è il preferito?

Però, in questo grande refettorio pieno di bambini indisciplinati e viziati, si respira una bella atmosfera. Si ha la sensazione di essere più a contatto con il preside. Qualunque sia la via che si desidera percorrere per raggiungerlo.

Però, dai, è divertente.

Qui in Israele ci si va e si torna sempre un po’ cambiati. Si sgretolano alcune certezze, si sovvertono pregiudizi, si raddrizzano i tiri. Terra Santa: lo è per troppi.

Qui tutti arrogano proprietà e priorità. Qui ognuno è arrivato prima dell’altro e ha quindi più diritti dell’altro. Una storia vecchia di millenni che in fondo ha anche un po’ stufato. Rivalse trite e ritrite su cui sono stati scritti plichi di saggi e romanzi storici. Ognuno con una propria verità. Da sbandierare, da mettere sul podio, con cui schiacciare quella dell’altro. Film già visto. Cambiare la trama non sembra possibile.

Terra Santa perché non si è ancora irritata e non ha voluto ancora fagocitare tutta la pletora di preti, rabbini e mullah deliranti nel suo ventre scuro.

A me piace viaggiare, e se tanto ho amato questa terra, non è stato per la sua santità. Al contrario. L’ho amata per la sua dannazione: per la fragilità così manifesta di noi creature disorientate, sempre a cercare un fine, un Dio, una salvezza, un paradiso. Ce ne freghiamo se, persi in questa ricerca, rendiamo il presente un inferno. Che razza cretina!

Però dai, è divertente. Entro ed esco da chiese e sinagoghe e penso: vai a vedere che alla fine hanno ragione i buddisti!

Un bimbo appena nato.

Il primo ricordo che mi si affaccia fastidioso nella mente quando penso a Israele è un incontro. Sono in Palestina, a Betlemme. Fa un caldo che apriti cielo! Il mio gruppo composto da un manipolo di irriducibili settantenni ha l’umore alto (capirete, stavamo per baciare il suolo dove Gesù era venuto al mondo), ma il fisico decisamente provato dall’afa. Siamo entrati nella Chiesa della Natività di Betlemme in un pomeriggio infuocato da un sole cattivo. Il quartiere in cui sorge la chiesa è, come tutti i quartieri palestinesi, povero, sporco, fatiscente. Nulla degno di nota, solo l’umana miseria del vivere. Dentro però è fresco. All’interno della Chiesa c’è un’altra piccola costruzione a cui si accede scendendo qualche gradino e che da riparo al posto dove presumibilmente, forse, chissà, fussechefusse, magari…..beh insomma, li doveva esserci stata 2000 anni addietro, la mangiatoia e il giaciglio dove fu appoggiato il Bambin Gesù in attesa che tre pellegrini che rincorrevano una stella arrivassero a depositare oro, incenso e mirra.

Doni peraltro utilissimi per un bimbo appena nato! Scusate la divagazione.

Diritti di fronte all’Altissimo.

Comunque noi irriducibili stiamo aspettando il nostro turno. Ci precede un gruppo di gagliardi greci capeggiati da un’altrettanto gagliarda guida di fronte alla cui imperiosità io sparisco. Mi avvicino e chiedo quanto più gentilmente riesco, se possiamo passare prima di loro: siamo più vecchietti e provati. In fondo si tratta di una cosa di pochi minuti: non si può stazionare nella “grotta” ma solo inginocchiarsi e uscire. Lì sotto l’aria è così satura che nessuno vorrebbe starci a lungo.
La Dea Pallade dall’alto di un Olimpo luminoso abbassa gli occhi verso l’umana sudaticcia che in questo momento sono io e risponde lapidaria “No. Noi passiamo per primi. Ne abbiamo più diritto.”
Le mie conoscenze in campo teologico possono dirsi lacunose ma non avevo mai lontanamente sentito parlare di diritti prioritari di fronte all’Altissimo. Non pensavo ci fosse un Triage religioso. Così la guardo interrogativa e lei, alzando la nobile fronte greca verso il crocifisso, aggiunge con tono di ovvietà “Noi siamo ortodossi!”
Ah beh, allora. Poteva dirlo subito no?

Mi infastidico, mi capita spesso.

Mi infastidisco. Mi capita spesso. Mi accaloro più di quanto sia ragionevole soprattutto a queste temperature. Iniziamo ovviamente a disquisire. Alla fine mi scoccio e dico una cosa che merita in contemporanea il biasimo del custode della cripta e quello dei monaci che transitano per caso accanto a noi. Dico qualcosa di infelice che assomiglia a “Se quello che venerate e per cui vi inchinate a baciare dove ha presumibilmente appoggiato il culo da neonato duemila anni fa ci vedesse in questo momento, sputerebbe in faccia a tutti”.
La reazione è tempestiva. Arrivano le guardie che mi convincono, mitra al collo, a uscire dal luogo sacro. Lo avrei fatto anche senza il mitra.

Quando accompagno gruppi riesco a essere accomodante o comunque a capire quando è il caso di non farla troppo lunga. Se viaggio da sola rischio ergastoli multipli e in alcuni paesi la fustigazione.
Quel giorno i miei viaggiatori portarono a compimento la visita senza di me e io da allora per protesta non mangio più lo yogurt greco.

L’umanità. Questo è quello che fa di Israele ai miei occhi un paese del Bengodi! Non le chiese (ne abbiamo di molto più belle in Europa), non le moschee (in cui quasi non ti fanno entrare in quanto donna, in quanto europea, in quanto impura, etc etc), non le sinagoghe (che di per sé sono ambienti molto essenziali). Ma la gente! Uno spettacolo gratuito magnifico.

Ti siedi in qualsiasi angolo di Gerusalemme. Puoi scegliere il quartiere arabo, incasinatissimo e pieno di mercati. Oppure quello Armeno, più etereo e silenzioso. Se vuoi superi mille controlli e ti addentri nel quartiere ebraico, affaccendato e sfuggente. Alla fine se ti senti più a casa vai nella parte cristiana e ti piazzi davanti al Santo Sepolcro.
Ti siedi e osservi.

Avete una vaga idea di quanta fantasia abbiamo noi Popoli del Libro?

Iniziamo con i Cristiani.

Iniziamo con i Cristiani. Gli esponenti più forti di questa falange sono gli Ortodossi. Eh, si fa in fretta a dire Ortodosso. Greco? Russo? Poi ci sono gli Armeni. Quelli a metà strada tra occidente e oriente. Viaggiano con il capo coperto da un cappuccio nero come adepti del Ku Klux Klan, larghe tonache scure e gran crocifissi che penzolano sul petto. Poi qua e là si vede qualche esponente di un Cattolicesimo che in Terra Santa ha avuto poca fortuna: i Francescani. A un tratto ,come puntini scuri di sospensione, emergono tra la folla gli Etiopi. Che ci sono venuti a fare fino a qui? Leggenda vuole che siano i nipoti della relazione tra Salomone, re d’Israele, e la Regina di Saba. I due si amarono e ci scappò pure un figlio – Menelik. Il saggio re Ebreo aveva rispedito la bella principessa a casa nel regno dei Sabei con un figlio in pancia e un regalo di tutto rispetto: l’Arca dell’Alleanza con tutte le tavole della legge di Mosè. Hai detto niente! Gli Etiopi ebrei nati da questa relazione sono a mala pena tollerati dal resto della comunità israelitica. Peccati di gioventù di un Re. Capita in tutte le famiglie qualche scheletro che non si riesce a chiudere bene nell’armadio.

E mentre te ne stai lì, tra un prete e una suora, si insinuano ebrei e musulmani.

Ebrei e musulmani.

Sotto, contro il Muso del Pianto, si sperticano di preghiere e inni gli uni, sopra, sulla spianata delle moschee, ci stanno gli altri. Un universo brulicante di preghiere al vento.
E vogliamo parlare degli ebrei ultraortodossi del quartiere di Mea Shearin? Fantastici. Cammini sotto i balconi nelle loro lercissime strade, e vedi appesi mutandoni dell’epoca di mia bisnonna. Le donne hanno parrucche in segno di umiltà (si sono infatti previamente rasate il capo) e gli uomini in pieno luglio indossano colbacchi di visone (non sintetico ovvio) e pastrani neri che, a una rapida occhiata, meriterebbero qualche giro di lavatrice extra.

La gente. E’ quello che più mi appassiona. Io faccio parte di quella nutrita schiera di persone che ama l’umanità, ma detesta l’uomo. Non sono brava ad amare chiunque, ma l’umanità in sé suscita la mia tenerezza. Guardo la gente e me ne sento parte come piccolo ingranaggio nello spaventevole meccanismo dell’Universo. Mi rilassa. Mi deresponsabilizza il fatto di essere così piccola e inutile.

Gerusalemme però, oltre alla sua gente che si esprime al massimo delle sue potenzialità antropologico e folcloristiche, ha un sacco di cose belle. Ha le mura antiche che ne cingono il nucleo storico, ha l’orto del Getsemani, ha la cupola sulla Roccia. Ha il cimitero dei giusti in cui gli ebrei fanno a gara per essere seppelliti, i musei, i mercati.

Sulla costa c’è Acco (San Giovanni di Acri) con i resti delle costruzioni dei Templari. Piccoli porti dal fascino mediorientale pieni di colori e profumi di spezie. C’è la Galilea, con il suo lago miracoloso e le sue belle valli. C’è Masada.
Ah sì, Masada ha dell’incredibile. Un avamposto in mezzo al deserto del Negev dalla cui altura si vede lontano la costa israeliana del Mar Morto. Da quassù, nello scontro finale tra Romani e popolazioni ebree, pur di non sottostare all’idolatria che il governo romano imponeva, tanti ebrei (uomini, donne con bambini) si lanciarono in un suicidio di massa. La fortezza è oggi simbolo del popolo Israeliano e della sua capacità a resistere. I giovani che fanno servizio di leva prestano giuramento con la frase “Mai più Masada cadrà!”.

Va, pensiero….

Mentre arranco nell’arsura delle poche pietre rimaste penso che qui, corale e pietoso, vorrei salisse al cielo il coro del Nabucco.

Va, pensiero, sull’ali dorate;

Va, ti posa sui clivi, sui colli,

Ove olezzano tepide e molli

L’aure dolci del suolo natal!

Del Giordano le rive saluta,

Di Sionne le torri atterrate…

Oh, mia patria sì bella e perduta!

Oh, membranza sì cara e fatal!

Arpa d’or dei fatidici vati,

Perché muta dal salice pendi?

Le memorie nel petto raccendi,

Ci favella del tempo che fu!

O simile di Sòlima ai fati

Traggi un suono di crudo lamento,

O t’ispiri il Signore un concento

Che ne infonda al patire virtù,

Che ne infonda al patire virtù,

Che ne infonda al patire virtù,

Al patire virtù! Ve, pensamiento – “Nabucco” (Giuseppe Verdi)