Galimberti e la libertà

musica cinese

Guardo Galimberti sul grande palco delle OGR di Torino. Ha un che di surreale e commovente: non occupa la poltroncina messagli a disposizione, sta in piedi solitario, strizza gli occhi per carpire i visi del suo pubblico appoggiandosi con una mano allo schienale. Dondola un po’. Poi inizia.

La sua figura immediatamente scompare e le parole escono lineari, chiare. Mi ritrovo in uno spazio in cui logica, rigore, ovvietà ed eleganza di pensiero la fanno da padroni. Tema del monologo: Libertà e schiavitù.

Ci guarda e domanda: “Pensate veramente di essere liberi?”

Già il solo tono è un invito al diniego.

Puntella il discorso con i cardini fissi della sua posizione: i giovani. Introduce il concetto di filosofia non tanto come materia di studio, ma piuttosto come atteggiamento che andrebbe insegnato nelle scuole primarie. Parla della nostra società come di entità volta unicamente all’efficienza e produzione. Una società in cui oggi si va in depressione per sensi di inadeguatezza e dove l’asticella delle aspettative è sempre più alta. Una società in cui i nostri profili social non dicono più chi siamo noi (ammesso che lo abbiano mai fatto) ma ci definiscono per ciò a cui serviamo. Parla di quanto le materie umanistiche siano disprezzate proprio in virtù di una “non utilità” e quanto si spingano i giovani verso studi più tecnici, più votati alla produttività ed efficienza. Scompare ciò che è bello per dar spazio unicamente a ciò che è utile.

Gli anni di scuola che dovrebbero essere utilizzati per la formazione dell’individuo nella sua interezza, nel suo essere prima di tutto un essere pensante, vengono immediatamente trascorsi nello studio di ciò che “tecnicamente” può servire per trasformare lo studente in un essere agente.

Non siamo più trattati da uomini, insomma, ma da mezzi di un sistema. Non più persone fatte di paure, emozioni, sogni, pensieri, desideri, ma strumenti volti al raggiungimento, per lo più, di obbiettivi sociali, aziendali, comunque macchine produttive. E nel discorso butta lì il fatto che fu durante il periodo nazista in Germania che si iniziò a inculcare in qualche modo questo concetto di “efficienza”. Ad alcuni tra i peggior criminali nazisti fu ripetutamente chiesto come si fossero sentiti mentre provvedevano con solerzia all’eliminazione di migliaia di altri esseri umani. Uno di questi scansò più volte la domanda. Al punto da far credere all’intervistatore che non volesse affrontarla per vergogna. Invece non l’aveva semplicemente capita a far fede dallo sbotto con cui alla fine il carnefice rispose: “Ma che cosa significa come mi sentivo? Che significa cosa provavo? Facevo il mio lavoro. Io ero stato messo lì per eliminare 5000 ebrei al mattino e altrettanti nel pomeriggio. E io l’ho fatto. Questo era il mio lavoro”.

Questo senso di estrema aderenza a quello che il sistema o l’azienda richiede è, seppur con conseguenze meno catastrofiche, presente ancor oggi per esempio nei sistemi bancari in cui gli impiegati vengono sollecitati a vendere alcune azioni piuttosto che altre. Consci del fatto che facendolo non faranno gli interessi dello sprovveduto che affida all’ente i propri risparmi. Si esegue, perché il sistema lo richiede. Magari a malincuore, ma si esegue.

E così, in una concatenazione e contaminazione di riferimenti a cui non so più risalire e in cui mi sono persa e ritrovata più volte, mi è venuta in mente la facilità con cui abbiamo sdoganato tante brutture e ingiustizie. E mi è venuto in mente un collega che, nel caos del settore turistico che stiamo attraversando, noi che per pagar bollette vi mandiamo o cerchiamo di farlo almeno, in vacanza nei posti più meravigliosi e improbabili del mondo, ebbene, questo collega ha deciso di vendere pacchetti viaggio in Arabia Saudita.

Io e lui abbiamo dialogato* su quanto io ritenessi poco etico andare in vacanza e lasciare soldi a un paese che rappresenta ai miei occhi e secondo le mie conoscenze, il livello più alto di nefandezza nel campo dell’Umano.

Lui mi rispondeva che le bollette le doveva pur pagare.

E sia.

Io penso sia più elegante virare con la programmazione sul territorio italiano. Lui valuta che il deserto di uno dei paesi che maggiormente ha dimostrato di non rispettare diritti umani e condizione femminile, negando libertà di stampa e di pensiero, sia comunque una proposta alternativa agli affreschi del Mantegna.

E allora ha davvero ragione Galimberti. Non siamo più uomini se a partire dal nostro piccolo orticello siamo disposti a girare la testa pur di raggiungere obbiettivi.

Se uno dei principali espositori e sponsor del TTG (una delle più grandi fiere del turismo in Italia) è stato proprio l’Arabia Saudita e la sua compagnia aerea, significa ben che siamo in tanti ad aver preferito non andar troppo per il sottile accettando soldi da uno Stato che in ambito di esecuzioni capitali e discriminazioni di vario genere, dall’omofobia ai diritti negati alle donne, ha avuto delle responsabilità feroci nel mondo attuale.

E mi viene in mente il giornalista Jamal Khashoggi, di origini Saudite, entrato intero e sulle proprie gambe all’interno del consolato saudita in Turchia e uscitone spezzatino. Omicidio riconducibile secondo le indagini alla famiglia reale saudita.

L’Arabia Saudita è stata bravissima a utilizzare lo sport (settore che per antonomasia va oltre i razzismi e le politiche) per entrare dallo scalone principale nei saloni delle feste degli Stati Giusti. E così quando c’è stata la Formula 1 a Jedda i sauditi si sono pure permessi di dettare il Dress Code per chi voleva presenziare nei paddock.

Eppure eppure… i miei clienti che si rifiutano di far viaggi in Iran adducendo, con ragione a rigor di logica, il fatto che il paese a livello di libertà individuale e collettiva faccia acqua da tutte le parti, ebbene, questi stessi clienti in Arabia Saudita ci andrebbero. Così come sono stati e torneranno negli Emirati Arabi dove le donne saranno anche cariche di oro e diamanti, ma solo di recente hanno acquisito la possibilità di guidare un’auto.

Perché? Forse perché alla fine i soldi coprono sempre le vergogne.

Galimberti mio, ti definiscono un pessimista. Ma in verità io sono uscita dal salone delle OGR con la netta sensazione che tu sia un filosofo con i piedi ben radicati al suolo!

* Lo sapevate (io no) che il prefisso dia- in greco rende il concetto di distanza. Dia-metro è il punto più distante di due punti su una circonferenza. Dia-volo è il punto più distante da Dio. Dia-logo è lo scambio di parole tra due persone che occupano due posizioni di pensiero molto distanti.