Un viaggio in Antartide - parte III

chiesa kiruna

Pillole di viaggio.

I turisti salgono sulla nave con tanto di borsone da viaggio e passaporto in mano. Si viene registrati e si deposita il passaporto presso gli uffici di bordo, una sorta di check in di mare. Le operazioni di boarding si svolgono in una finestra temporale di alcune ore, per cui non c’è ressa né caos. Tutto tranquillo. Lo staff accoglie uno per uno, spiega un po’ in linea di massima come si svolgeranno le attività e la vita a bordo, e ci si dirige verso la sala ristorante per un welcome drink che tutti sorseggiano visibilmente emozionati. Come bambini in un enorme negozio di giocattoli.
I passeggeri provengono da vari paesi, principalmente mondo anglosassone con solita prevalenza in rapporto alla popolazione di australiani e neozelandesi, qualche asiatico, un paio di coppie di israeliani, gli onnipresenti scandinavi e un bel gruppetto di italiani. C’era anche uno spagnolo, che mi raccontava che aveva imparato ad apprezzare l’Italia grazie a un suo collega del marketing Fiat, un certo Lapo Elkann.
Comunque indipendentemente da luogo di provenienza e prodotto interno lordo del proprio paese tutti si ponevano la stessa domanda: ma come sarà l’attraversamento del canale di Drake? Sarà davvero cosi burrascoso come dicono?
Al check in tutti hanno un colloquio con il medico di bordo, che gentilmente e meticolosamente informa, spiega, consiglia, tranquillizza, dedicando ad ogni persona almeno una ventina di minuti. Alla domanda “ma se soffrirò di mal di mare io ho le seguenti medicine andranno bene?” il medico apriva una maxi valigetta con tutte le possibili medicine contro il mal di mare esistenti sul mercato mondiale. Se poi uno dei passeggeri era per caso anche medico allora si apriva un vivace quanto incomprensibile dibattito circa i relativi principi attivi.
Ma non bastava. Il signor Drake incuteva terrore comunque.
Io come sempre pensavo che alla fine non sarebbe stata poi sta tragedia. Mi ricordo che nell’osservare le persone avevo notato una coppia di giapponesi. Me li ricordo scendere la scala di accesso alla sala ristorante, erano lenti, si soffermavano ad ogni scalino, sembravano avere problemi di equilibrio. Avevo pensato: mi sa che quando il mare diventa grosso questi due se la passeranno molto male.
Ma Drake è ancora lontano. Siamo ancora nel porto. Si prende possesso delle cabine, si va a cena, si scambiano quattro chiacchiere qui e la, insomma per usare un termine che calza a pennello per la situazione, si sta rompendo il ghiaccio.
Dopo cena la nostra piccola nave con destinazione Antartide salpa dal porto di Ushuaia. Tutti ci portiamo fuori ad ammirare la meraviglia della baia di Ushuaia con la sua splendida cornice di montagne quasi sempre innevate. Il canale di Beagle è uno specchio, l’imbarcazione procede oltre il mitico faro Les Eclaireurs, il più australe del mondo. Tante volte sono passato di lì negli anni, durante le escursioni di mezza giornata che immancabilmente si fanno durante i viaggi in Argentina, ma qui stiamo andando oltre. Siamo solo all’inizio della nostra avventura e quasi tutti siamo ancora fuori e coraggiosamente sfidiamo la temperatura esterna. Durante l’estate australe il termometro a queste latitudini raramente scende sotto lo zero, ma con il vento sul ponte della nave è tutta un’altra storia.
Un po’ ancora frastornati, stanchi ma felici prima o dopo tutti andiamo a dormire. Sembra di essere ancora sulla terra ferma, di spaventose onde alte come una palazzina di quattro piani non c’è traccia.
Ma il canale di Beagle non è infinito, e in piena notte mi sveglio di botto. Esco per andare in bagno. Non è semplice, la barca balla che è un piacere e bisogna concentrarsi per rimanere in piedi. Appena esco nel corridoio vedo che ovunque sono posizionati pronti per l’uso decine e decine di sacchetti per il vomito. Sono dappertutto. Penso: certo che tutto questo allarmismo sul mare burrascoso è un po’ esagerato. Il tempo di fare questo ragionamento e sono costretto ad afferrare un sacchetto e correre in bagno. Eravamo entrati in mare aperto, nel passaggio di Drake, e ci dirà poi lo staff che abbiamo avuto il piacere di sperimentare il mare grosso come da parecchie settimane non capitava.
Ricordo il giorno seguente a pranzo la sala era semivuota, erano tutti in cabina, nessuno osava mettere il naso fuori. Anche i membri dell’equipaggio non avevano un bell’aspetto, uno di loro mi disse che lui non amava il passaggio di Drake, ma che non era mai stato male come quel giorno li.
Ma c’era qualche eccezione. In particolare due persone, che mangiavano felici come se nulla fosse, e con molto appetito. Era la coppia di giapponesi del giorno prima che io avevo già dato per spacciati. E invece se la passavano alla grande, a differenza mia e di gran parte degli altri viaggiatori. Cercando di nascondere la mia nausea e le mie difficoltà sono andato a salutarli, con un sorriso enorme mi hanno invitato a mangiare con loro. Invito che ho dovuto declinare, per motivi di forza maggiore.
In sala ristorante ogni tavolo con relative sedie era ancorato fisso a terra, e sui tavoli c’erano degli spazi concavi in cui si dovevano inserire i piatti e i bicchieri, era l’unico modo per impedire che volassero sulle pareti.
Ci vorranno circa 36 ore per giungere alla penisola antartica e ritrovare acque calme, a quel punto ci sentiamo tutti dei piccoli esploratori come Ernest Shackleton. Una sensazione bellissima. Chi ama viaggiare spesso prova sensazioni positive di questo tipo, ma qui eravamo in Antartide.
Le nostre avventure durano circa 7 giorni, durante i quali esploriamo isole, passiamo in mezzo a stretti canali, facciamo a zig zag tra enormi iceberg. Si scende sulle isolette a bordo di piccoli gommoni. Ai piedi abbiamo degli stivali in gomma imbottiti fornitici dallo staff e che immergiamo in un liquido disinfettante prima di sbarcare per non portare batteri sconosciuti in giro. La fauna è ricchissima, bisogna stare attenti, se ci si distrae per fare una fotografia di troppo si rischia di fare un vero e proprio scontro frontale con un pinguino.
Visitiamo un paio di basi scientifiche e la splendida baia di Port Lockroy, in cui si trova l’ufficio postale più a sud del mondo, una baracca in legno che funge da museo, in cui vivono un paio di persone da cui si possono acquistare cartoline che arriveranno dopo qualche settimana a destinazione con il timbro Antartide. Ricordo che a un certo punto volevo fare loro un paio di domande ma non li trovavo da nessuna parte. Erano andati sulla nostra nave per fare una doccia e un pasto diciamo completo. Immaginabile, dato che vivevano isolatissimi senza quasi nessun confort.
Tra le varie avventure ci sarà anche un tuffo nelle acque gelide con tanto di corda di salvataggio legata in vita e bicchierino di vodka celebrativo dopo il veloce bagnetto.
Un viaggio unico e incredibile. Indimenticabile. L’unica cosa che si dimentica velocemente è il temuto attraversamento del passaggio di Drake, Drake Shake come lo chiamano in gergo. Ma ne vale la pena. E, per la cronaca, l’attraversamento al ritorno sarà molto tranquillo, avremo cosi modo anche di avvistare parecchie balene. Io potrò finalmente pranzare con i giapponesi, che, sempre sorridendo, mi dissero: “ti vediamo più in forma rispetto al viaggio di andata eh….”